Gian Paolo BERETTACandidato Rettore (primavera 2016)
Trascrizione degli interventi pubblici durante la campagna 2016 per l'elezione del rettore dell'Università degli Studi di Brescia
|
Con la mia candidatura ho voluto impegnarmi in una campagna elettorale mirata a mantenere alta l'asticella dei princìpi fondamentali della nostra istituzione.
Sono stati per me quattro mesi impegnativi: l'ANVUR farebbe bene a considerare anche questo tipo di attività di servizio al pari delle pubblicazioni su rivista scientifica.
Sono stati mesi solitari all'inizio, e ancor più dopo il risultato della prima
votazione. Mesi difficili in cui è stato impegnativo mantenere equilibrio e coerenza, a fronte delle molteplici pressioni.
Da un lato ho apprezzato le garbatissime richieste di allineamento da parte dei colleghi Regasto e Tira che avendo condiviso molti dei princìpi che ho sostenuto, in parte li hanno evidenziati e incorporati nei loro programmi, ancorché stemperati nei toni, secondo i rispettivi stili moderati.
Ad un certo punto ero stato indotto a pensare che per rispetto dei non pochi elettori che hanno dimostrato di apprezzare i punti da me sollevati avrei dovuto trovare un modo per capitalizzare il risultato conseguito alla prima votazione accordandomi con uno dei due candidati in cambio dell'istituzione di un nuovo organo collegiale che faccia da Garante della realizzazione degli auspicati princìpi di efficienza interna, umanità nella gestione del PTA e dei rapporti fra PTA e corpo docente secondo le logiche del cosiddetto "umanesimo manageriale", scegliere i membri del CdA a salvaguardia dell'indipendenza e dell'autonomia dal mondo della politica e dalle logiche aziendalistiche, rimettere e richiamare gli studenti al centro, ricompattare ogni Area dando voce e dove mancano, come a Ingegneria, reistituire lottare a Roma contro le leggi e regole di contabilità che considerano le università al pari delle PA, che si basano sulla presunzione di disonestà dei dipendenti pubblici, che impongono la logica folle del Consip per gli acquisti per la ricerca, etc.
Poi però non l'ho fatto, un po' perché la logica dell'accordo per ottenere qualcosa in cambio, ancorché per una buona causa e non per vantaggi o posizioni personali, non si sposa con il mio idealismo, un po' perchè il ruolo di Garante è già in capo al Rettore e al Senato Accademico, e un po' perché sia Regasto sia Tira hanno espresso apprezzamenti per i miei suggerimenti e quindi la mia scelta di allinearmi con l'uno o con l'altro avrebbe dovuto basarsi su altri aspetti che invece ritengo debbano essere lasciati alla scelta personale e libera degli elettori.
Dall'altro, ho incassato molti silenzi significativi e ricevuto rimproveri da alcuni stimati colleghi che fino a ieri non hanno capito cosa abbia voluto fare e hanno pensato che abbia solo voluto togliermi dei sassolini dalle scarpe. A loro rivolgo l'invito, nei prossimi anni, man mano che le cose procederanno, di rileggere le trascrizioni di quanto ho dichiarato nei vari interventi pubblici (che manterrò presenti e inalterati nella pagina web del mio sito dedicata alla campagna elettorale). Con riferimento a quanto ho detto
nell'ultimo di martedì 14 giugno, mi diranno fra qualche anno se credono davvero che il mio ruolo oscillante fra il
Savonarola e il Pierino sia stato così fuori luogo.
Ho anche però ricevuto alcuni messaggi di apprezzamento da parte sia di personale non docente sia di colleghi di ogni rango che mi hanno ringraziato per le cose che ho detto, per la chiarezza con cui le ho dette e per il ruolo che mi ero assunto. A loro e a tutti coloro che mi hanno dato il voto al primo turno va la mia gratitudine per il prezioso sostegno.
Ora però dobbiamo scegliere chi deve andare al ballottaggio. Ridare il voto a me sarebbe come disperderlo. Quindi mi auguro di ricevere zero voti.
Comunque vada, sono convinto che se saremo capaci di unire le forze con umiltà e umanità e
recuperare il senso di appartenenza e di servizio, l'entusiasmo vincerà e saremo orgogliosi dei risultati che verranno.
In bocca al lupo!
Sei anni sono lunghi, e i programmi e le alleanze cambiano, ma le persone no. Ricordiamoci che non andiamo a votare un programma elettorale, non un area disciplinare, non un accordo o una cordata o un'alleanza pre-elettorale. Andiamo a scegliere una persona.
Le dichiarazioni di programma sono importanti, perché ci fanno vedere come ciascuno di noi predica e da quali princìpi è ispirato. Ma risolvono solo la metà del nostro compito di elettori. L'altra metà è la più difficile: dobbiamo capire se il candidato che predica secondo i princìpi che più condividiamo, avrà poi la forza, il coraggio e la capacità di razzolare bene, mantenendosi coerente fino in fondo ai princìpi dichiarati. Per capirlo dobbiamo leggere fra le righe del programma, del curriculum e delle dichiarazioni, e raccogliere informazioni su come ha gestito le cose in passato.
Alla fine lasciamoci guidare dalla nostra intuizione personale e approfittiamo del segreto dell'urna per esprimere una preferenza libera da condizionamenti. Già dalla prima votazione, voltiamo le spalle alla logica corporativa e ignoriamo le indicazioni utilitaristiche che fanno leva sulla paura che la nostra macro o microarea ne possa soffrire. E' vero il contrario: il nostro orticello sarà più fertile solo se chi guiderà l'Ateneo lo renderà più forte nel suo complesso.
In bocca al lupo a tutti per le scelte che faremo.
La campagna
elettorale è tutt'altro che finita, ma anche a me piacerebbe un giorno o due di
sano silenzio elettorale, per riflettere su come votare al primo turno. Intendo
un silenzio senza conferenze stampa e colpi di teatro...
Ma non posso non dirvi come la penso sull'ultimo colpo di teatro del nostro attuale Magnifico, che -- non vi sarà sfuggito -- ci ha comunicato tre giorni fa che il nostro Ateneo ha deciso di celebrare solennemente il 19 giugno -- due giorni prima del secondo turno di votazione -- la consegna dei Diplomi di Laurea in un evento pubblico paragonabile alla cerimonia di Commencement degli atenei anglosassoni.
E' un peccato che anche questa decisione sia stata calata dall'alto -- come il progetto H&W o, a livello nazionale, le istituzioni dell'IIT nel 2003 e dello Human Technopole pochi mesi fa -- senza che alcun iter di condivisione e partecipazione alla decisione abbia coinvolto le comunità interessate, nella fattispecie da un lato gli studenti, il corpo docente e tutto il personale dell'Ateneo, e dall'altro la Città.
Ciononostante, io intendo partecipare ed esorto tutti voi a fare lo stesso, superando il sentimento di fastidio per il modo con cui ancora una volta le nostre opinioni e le nostre persone sono state ignorate, e superando anche il timore che la nostra presenza all'evento possa essere interpretata come schieramento elettorale. Lasciatemi spiegare perché dobbiamo partecipare.
Ho presenziato a otto cerimonie di Commencement nei nove anni vissuti da giovane negli USA: due da studente-spettatore, due da diplomato e cinque da docente, quando ho capito la vera forza e bellezza della cerimonia, soprattutto del post-cerimonia. Sono gli occhi spaesati e lucidi dei parenti che si aggirano nei corridoi e nei prati del campus, gli occhi dei genitori che hanno fatto grandi sacrifici economici per sostenere gli studi dei loro figli e che assimilano la portata del loro sogno coronato; occhi in cui si legge la sincera e commossa gratitudine verso l'istituzione e i professori che li hanno accolti, indirizzati, stimolati, fatti maturare e preparati al mondo del lavoro. Per un docente quegli occhi sono motivo di forte gratificazione, il coronamento dei propri sforzi didattici e di mentoring, la motivazione a fare ancora meglio, la spinta a non lesinare energie nel rapporto coi propri studenti. Per il personale non docente quegli occhi sono motivo di orgoglio ed emozione nel capire come ogni componente di un'organizzazione efficiente abbia un ruolo importante, e come l'attenzione al reciproco rispetto fra le persone e la creazione di un ambiente armonico, piacevole e umano di lavoro, ricerca e studio possano nell'insieme consentire di conseguire obiettivi così elevati e toccanti.
Ecco perché vi esorto a partecipare. Sorvolate sui dubbi della strumentalizzazione elettorale e non perdetevi l'occasione di guardare quegli occhi e parlare con qualche genitore! Lo dobbiamo alle famiglie dei nostri studenti, i quali ce ne saranno grati. L'importanza del rispetto per le famiglie non è un nuovo principio per il nostro Ateneo. Non è per evocare un ritorno al passato, ma vi ricordo che fu proprio in nome del rispetto per le famiglie che Preti insistette per l'uso delle toghe nelle proclamazioni alla fine delle sessioni di laurea. L'iniziativa di Pecorelli va nella stessa direzione ed è buona. Al di là dei protagonismi, una cerimonia coreografica può produrre aggregazione e diffondere in città la consapevolezza della sua dimensione universitaria.
(Chissà che anche non riesca a ridurre il numero di studenti che girano in mutande il giorno delle lauree...)
Programma:
Lettera di candidatura (30 Marzo)
(PDF)
(cliccare sui link blu)
1.
Continuità o discontinuità con il Rettore uscente? (in tre minuti)
2.
Quali azioni per rendere l'Unibs più attrattiva per studenti, professori e ricercatori?
(in tre minuti)
3.
Rapporto tra Università e Città: Campus, CSMT, Spedali Civili, mondo del
lavoro
(in tre minuti)
4.
Commento conclusivo a tema libero ("L'Università Statale è un bene pubblico: difendiamola da logiche aziendalistiche e di
privatizzazione") (in due minuti)
1. Come giudica l'esperienza condotta dalla Direzione Generale in questi ultimi anni? Quali i punti di forza e di debolezza? Come intende impostare il rapporto Rettore/Direttore Generale? E quale sarà il primo obiettivo che assegnerà al Direttore Generale? Come e con quali criteri verrà scelta la squadra del nuovo Rettore? (Direttore generale, Prorettori, Delegati). Vi sarà continuità o discontinuità? (in due minuti)
2. Come immagina/prevede il futuro della nostra Università? (Fondazione? Fusione/Federazione con l’Università di Bergamo? Permanenza stato attuale?) (in due minuti)
3. Crede necessario rivedere e riscrivere lo Statuto, ad esempio rispetto a:
- componenti universitarie sotto-rappresentate negli Organi collegiali, con particolare riferimento al PTA?
- ampliamento dell’elettorato attivo, per studenti e PTA, in relazione alla nomina del prossimo Rettore? (in due minuti)
4. Quali interventi crede possibili e realistici per valorizzare in termini motivazionali ed economici il PTA? (in due minuti)
5. Commento conclusivo a
tema libero ("Nel segreto dell'urna scegliamo la persona secondo
coscienza") (in due minuti)
1. Intervento a tema libero ("Prede o predatori?") (in cinque minuti)
2. Intervento in risposta alle domande dalla sala ("Attrattività, didattica, ricercatori a tempo determinato, referendum a fine triennio")
(in cinque minuti)
1. Idee e proposte sui rapporti tra università e territorio (in
cinque minuti)
(scorrere in giù o tornare all'indice
più sopra e cliccare sui link blu)
Domanda 1 (tre minuti per rispondere) nell'incontro con i candidati rettori dell'Università di Brescia sul tema "Università e Città" organizzato da Piattaforma Civica il 26 Aprile
Diversamente da quanto apparso sui giornali, la mia candidatura non era affatto annunciata. Anzi, ha decisamente sorpreso tutti. L'ho proposta spontaneamente per dare voce ai tanti che come me negli ultimi cinque anni, hanno sofferto sensazioni e situazioni quotidiane di profondo disagio, non solo per le condizioni di lavoro a cui è stato costretto il personale tecnico e amministrativo, ma anche per il peggioramento delle collaborazioni fra docenti e ricercatori nei dipartimenti, istigati gli uni contro gli altri dall'antica strategia del divide et impera che unitamente alla politica del contagocce ha favorito solo i gruppi dominanti e più aggressivi.
Ho offerto la mia candidatura per tentare di dare sfogo ad un libero dibattito interno da troppo tempo assente e per sottolineare che il nuovo rettore dovrà occuparsi per prima cosa della salute e del benessere del nostro Ateneo e delle persone che ci lavorano e studiano; e intendo di tutto l'ateneo, non secondo la logica purtroppo consolidata che se io mi candido è per portare qualche vantaggio a ingegneria, o al mio dipartimento, o al mio settore concorsuale.
Sono convinto che nel cuore di chi lavora e di chi studia in un'istituzione così fondamentale per la società come l'Università Statale dobbiamo tornare ad instillare, anche attraverso la scelta del rettore, princìpi dimenticati come la solidarietà, l'imparzialità, la rettitudine, la lungimiranza.
La scelta sarà molto più difficile di quello che sembra, perché sei anni sono lunghi, e i programmi e le alleanze cambiano, ma le persone no. Quindi ricordiamoci che a giugno non andiamo a votare un programma elettorale, non un area disciplinare, non un accordo o un'alleanza pre-elettorale; andiamo a scegliere una persona.
La mia candidatura è un appello al prossimo rettore a non far sbiadire ulteriormente quel tranquillizzante senso di orgoglio di appartenere all'istituzione che Augusto Preti aveva saputo infondere in tutti noi con i suoi ventotto anni di presenza quotidiana e col suo fare bonario ma fermo, da capofamiglia con un occhio attento ai dettagli ma il timone sempre puntato sull'obbiettivo. E il suo principale obiettivo non è mai stato di favorire medicina o i rapporti con l'ospedale o il suo dipartimento, ma di far crescere tutte le aree con armonia. E non è stato neppure solo quello di costruire e proteggere l'enorme patrimonio immobiliare che alla fine ci ha consegnato col sorriso sotto i baffi. Ma la sua vera forza è stata quella di permettere ad ogni dipendente di dedicarsi al proprio lavoro al meglio delle proprie possibilità e contribuire così tutti insieme alla costruzione dell'ancòra più prezioso patrimonio che abbiamo, che è la credibilità scientifica che l'ateneo nel suo complesso ha raggiunto a livello nazionale e internazionale e che rappresenta anche il principale presupposto del ruolo sociale che l'Università Statale può avere per la città e la provincia.
Torna all'indice
Domanda 2 (tre minuti per rispondere) nell'incontro con i candidati rettori dell'Università di Brescia sul tema "Università e Città" organizzato da Piattaforma Civica il 26 Aprile
Quando in tutta Italia le famiglie devono decidere dove mandare i propri figli a studiare, prima cercano vicino a casa e poi guardano fuori sede. Per attrarre studenti dalle province limitrofe dobbiamo rendere meno sporadici gli interventi di pubblicità informativa verso gli istituti di scuola superiore, e magari associarli ad attività di divulgazione scientifica che aiutino ad attirare l'attenzione su tutta la gamma della nostra offerta formativa, che va anche pubblicizzata meglio sul sito di ateneo.
Per attrarre studenti fuori sede, il prestigio scientifico e la qualità dell'offerta formativa sono fondamentali, ma anche altri fattori influiscono sulla scelta della città. Come dimostrato da Modena e Reggio Emilia negli ultimi anni, conta l'impegno costante del Comune a offrire servizi reali per rendere la città sempre più amica e a misura degli studenti universitari, aiutando l’incontro tra domanda e offerta di alloggi, sostenendo progetti di coabitazione tra studenti e anziani soli, dando agli studenti la copertura wi-fi gratuita in aree strategiche della città, tenendo aperte le biblioteche comunali e universitarie anche sera e weekend, semplificando i servizi sostitutivi del medico di famiglia, coinvolgendoli nell’offerta culturale della città integrata dalle attività di terza missione universitaria.
Altro fattore cruciale nella scelta è la possibilità di trovare lavoro. Questa va di pari passo con il rigore e la qualità della preparazione dei laureati e con il livello della ricerca. La cosa che sicuramente non dobbiamo fare è abbassare l'asticella e rendere più facile laurearsi, sperando così di attrarre più studenti, italiani o stranieri. Sarebbe un errore enorme, produrrebbe laureati mediocri che faticano a trovare lavoro, rovinerebbe la reputazione dell'Ateneo e alla fine allontanerebbe gli studenti più capaci, esattamente l'opposto dell'effetto desiderato.
Oltre a tenere l'asticella opportunamente alta, dobbiamo revisionare i piani di studio per verificare che da un lato si mantengano radicati ai fondamenti delle discipline e dall'altro siano aggiornati rispetto agli sviluppi internazionali del settore. Nel fare ciò mi piacerebbe che trovassimo spazi per incrementare forme alternative di didattica partecipativa e competitiva, in cui gli studenti si cimentino in progetti capaci di appassionarli e, perché no, anche divertirli stimolando creatività, leadership e lavoro di squadra, e che facciano da culla all'imprenditoria giovanile innovativa.
Per reclutare ricercatori potremmo tentare anche noi la via dei percorsi di laurea cosiddetti 'aspri', riservati agli studenti più ambiziosi e portati, capaci di affrontare piani di studi più impegnativi del normale. Se questi poi faranno il dottorato di ricerca a Brescia, sarebbe bene che dopo il dottorato andassero a fare un po' di gavetta all'estero per alcuni anni come post-doc, ad acquisire esperienze internazionali, prima che consideriamo di assumerli come ricercatori quando vogliono tornare, trovando il modo di non penalizzarli, come invece adesso succede, rispetto a coloro che abbiamo tenuto qui a fare la gavetta da noi.
Torna all'indice
Domanda 3 (tre minuti per rispondere) nell'incontro con i candidati rettori dell'Università di Brescia sul tema "Università e Città" organizzato da Piattaforma Civica il 26 Aprile
La “terza missione dell'Università” consiste nelle attività che la mettono in relazione con la società e l'industria. Sarebbe limitativo identificarle solo con il trasferimento tecnologico e le attività funzionali allo sviluppo economico del territorio, in una logica produttivistica o di tutela della salute pubblica. L'università deve anche contribuire attivamente alla formazione del tessuto civile, morale e sociale del territorio, deve al tempo stesso essere culla della modernità e scrigno della nostra eredità culturale.
Per fare un esempio molto recente, la presidente della commissione antimafia Rosi Bindi ha fatto osservare che la formazione della futura classe dirigente non può escludere temi come mafia e corruzione, e ha chiesto alle università un impegno di terza missione che la componente umanistica del nostro ateneo può offrire: ha chiesto alle università di indirizzare i loro strumenti di analisi e ricerca sui temi del contrasto e della prevenzione delle mafie, della criminalità organizzata e di tutti i fenomeni criminali che vi ruotano intorno, come la corruzione politica e amministrativa, e la connivenza delle professioni e dell’imprenditoria che le alimenta.
Sul fronte delle relazioni con l'industria e l'ospedale voglio sottolineare anche io che il ruolo propulsivo dell'università in un'economia sana sta nella sua capacità di realizzare in primo luogo la ricerca di base, su tutti i fronti, scientifico, medico e umanistico. Questo perché è alla frontiera che si sviluppa nuova conoscenza e che si fertilizza il terreno per l'innovazione. Quasi sempre tale frontiera è troppo lontana dall'applicazione per poter esser perseguita e finanziata dalle industrie.
Purtroppo, la classe politica nazionale ed europea è spesso portata ad ignorare questo ruolo fondamentale che ha la ricerca di base, e tende così a definanziarla per concentrare le risorse sulla ricerca applicata, su temi dettati dalle lobby più forti, a volte persino suggerendo che si debbano privilegiare poche università di eccellenza o che i tagli debbano essere più drastici per le ricerche umanistiche. E' compito dei rettori contribuire a vigilare e lottare con forza per contrastare la cecità di tali politiche suicide non solo per il tessuto civile, morale e sociale del paese, ma anche per la stessa innovazione produttiva.
Un'altra azione importantissima sarà quella di dare ossigeno al dottorato di ricerca, puntando sul ruolo chiave che i dottori di ricerca avranno nel futuro della nostra economia. Per le aziende e per gli enti pubblici, assumere un dottore di ricerca significa acquisire un professionista con il bagaglio tecnico, l'esperienza, l'indipendenza intellettuale e la leadership necessarie per assumere ruoli di responsabilità anche nello sviluppo sociale del territorio.
Torna all'indice
Commento conclusivo a tema libero (in due minuti) nell'incontro con i candidati rettori dell'Università di Brescia sul tema "Università e Città" organizzato da Piattaforma Civica il 26 Aprile
Desidero ringraziare ancora e complimentarmi con Piattaforma Civica per questa iniziativa che dimostra un genuina ed opportuna attenzione per il futuro della nostra Università Statale. Più del 70% dei costi di funzionamento sono coperti con soldi pubblici e circa il 10% con i contributi degli studenti. E' quindi più che giusto che noi cittadini ci interessiamo al buon funzionamento della nostra Università, perché è un bene pubblico, che non può essere pensato o presentato come un semplice ente che eroga servizi didattici o prove di laboratorio.
E' un bene pubblico che dobbiamo difendere a tutti i costi dalle logiche aziendalistiche che parificano gli studenti ai 'clienti' dell'azienda, e da quelle della privatizzazione, che hanno spinto l'attuale rettore ad escludere gli accademici dal consiglio di amministrazione.
Di fronte all'entità di queste problematiche è per me un segno apprezzabile e positivo, di maturità della nostra Università il fatto che così numerosi ci siamo fatti avanti, mettendo in gioco la nostra credibilità scientifica, professionale e personale, per cimentarci a reggerne il timone per i prossimi sei anni.
Gli elevati profili e la pluralità delle candidature rendono la scelta difficile, ma il dibattito che si sta sviluppando è la migliore garanzia che la scelta sarà all'altezza delle aspettative della cittadinanza. Questo perché confido che il dibattito spingerà gli elettori a leggere i nostri programmi, a studiare le nostre credenziali, a informarsi con i colleghi più anziani sui nostri caratteri e la nostra credibilità, e poi a votare la persona giusta.
Torna all'indice
Domanda 1 (due minuti per rispondere) nell'incontro a tema organizzatodal Comitato Partecipativo del Personale Tecnico Amministrativo e Ausiliario di UniBS, 2 Maggio
Buongiorno. Come ormai sapete, la mia candidatura è nata dall'esigenza di dare voce ai tanti che come me, negli ultimi cinque anni, hanno sofferto sensazioni e situazioni quotidiane di profondo disagio, sia per le condizioni di lavoro a cui la governance ha costretto il personale tecnico-amministrativo, sia per il peggioramento del clima di convivenza nei dipartimenti. La strategia del divide et impera, la politica del contagocce, e la gestione improntata alla continua emergenza hanno sbilanciato gli equilibri nelle facoltà e nei dipartimenti, hanno sottratto le segreterie al controllo dei presidi e dei direttori, e le hanno trasformate in ambienti farraginosi e asettici, dove le persone più sensibili hanno sviluppato sentimenti di frustrazione, sconfitta, delusione, e persino stati d’ansia.
E' prioritario che il nuovo rettore faccia solo il rettore e nient'altro, che sappia guardare vicino e lontano al tempo stesso. Fino alla scadenza del contratto del dottor Periti, farà bene ad affiancarlo giorno dopo giorno per sviscerare la situazione, individuare i colli di bottiglia dei meccanismi, e capire bene i margini di manovra nella gestione dei fondi e del bilancio. L'obiettivo interno è di correggere i molti errori tecnici che la gestione Pecorelli/Periti ha commesso nell'imporre il metodo FIAT -- di per sé non sbagliato -- dello sparigliamento delle mansioni, della spersonalizzazione dei ruoli, e dell'intercambiabilità delle persone.
L'obiettivo di efficienza interna è prioritario anche per arrivare finalmente a smentire coi fatti la percezione esterna che da troppo tempo diamo: di un organismo troppo lento e burocratico.
Molti di voi sanno bene che è per colpa di atteggiamenti ottusi e inflessibili della direzione e della rigidità dei nuovi regolamenti, ad esempio quelli
su proprietà intellettuale, contabilità e conto terzi, che siamo riusciti a
disincentivare il conto terzi e persino respingere finanziamenti importanti e prestigiosi, offerti da
grandi industrie italiane e anche da enti esteri, che alla fine non hanno potuto fare altro che andare a rivolgersi ad altri atenei,
ovviamente meno schizzinosi del nostro.
Domanda 2 (due minuti per rispondere) nell'incontro a tema organizzato dal Comitato Partecipativo del Personale Tecnico Amministrativo e Ausiliario di UniBS, 2 Maggio
E' vero che con l'abolizione delle province, in Regione si stanno cominciando a discutere progetti che vanno dalla milanesizzazione dell'intera regione alla federazione delle province di Brescia, Bergamo, Mantova e Cremona in una superprovincia chiamata Lombardia Orientale. E' vero che si parla di federazione e non di fusione, ma non sarà un processo semplice. Non dico quindi che sia come cercare di fondere il Brescia e l'Atalanta. Ma i bresciani sanno bene che sono nove secoli che ogni tanto qualcuno prova a ricucire i rapporti con gli orobici, ma senza grandi risultati. Non mi pare quindi una grande idea riprovarci proprio con le Università, che peraltro hanno già ottimi rapporti di collaborazione scientifica. Per ora, a me sembra più prudente stare alla finestra a guardare se le città riescono ad integrare le loro forze per far fronte comune e non soccombere almeno nella ripartizione delle risorse regionali.
Il tema è però delicato e richiede la nostra massima attenzione, perché anche a livello nazionale la strategia del divide et impera imperversa e non gioca a nostro favore. Ad esempio, mentre noi siamo distratti a discutere se confederarci o meno, Roma, Milano e l'IIT di Genova stanno già facendo man bassa del grande polo dell'innovazione che sorgerà sul sito dell'Expo, e dei tantissimi soldi che lo Stato stanzierà per il suo sviluppo. Se quei fondi, che in realtà sono per lo sviluppo economico e tecnologico, verranno -- come sembra -- fatti passare, etichettati come fondi per la ricerca, questo significa che saranno soldi sottratti alla ricerca universitaria.
Di sicuro non dobbiamo stare con le mani in mano. Non so se qualcuno di noi lo stia già facendo, o se l'Ateneo stia progettando qualche azione coordinata, ma al più presto dobbiamo andare a reclamare la nostra fetta dell'iniziativa, e non mi stupirei se i cugini orobici lo avessero già fatto. Se ci mancano idee, come minimo potremmo chiedere spazi per l'incubazione di spin-off e altre forme di imprenditoria giovanile nate per iniziativa dei nostri studenti magari a valle dalle nostre attività di didattica partecipativa.
Domanda 3 (due minuti per rispondere) nell'incontro a tema organizzato dal Comitato Partecipativo del Personale Tecnico Amministrativo e Ausiliario di UniBS, 2 Maggio
Le Università non sono solo la culla delle nuove classi dirigenti, della ricerca di base, della modernità e dell'innovazione, ma
sono anche scrigno e garanti della nostra eredità culturale. A maggior ragione, l'Università Statale è e deve rimanere un bene pubblico. La sua autonomia e la sua indipendenza sono da difendere con forza. Vanno difese dalle logiche di privatizzazione e lottizzazione politica che hanno spinto l'attuale governance all'assurda esclusione dal consiglio di amministrazione degli accademici e delle altre componenti universitarie. E vanno difese anche dalle logiche aziendalistiche che riducono il ruolo degli studenti a quello di semplici 'clienti' e presentano tutti noi come semplici 'erogatori di un servizio'. L'Università è molto di più, perché oltre alle attività di formazione, ricerca e trasferimento tecnologico concorre anche attivamente allo sviluppo del tessuto civile, morale e sociale del territorio.
Il primo passo per difendere l'autonomia e l'indipendenza del nostro Ateneo è proprio la revisione dello statuto. Però, per farla come si deve, occorre che il rettore vada a lottare a Roma, e tramite la CRUI convinca il MIUR a rimettere in discussione quei princìpi della legge Gelmini che hanno posto vincoli eccessivi all'ultima riforma dello statuto. Per fortuna lo scorso 27 aprile -- e ringrazio il collega Padovani per avercelo immediatamente segnalato -- il CUN ha già fatto un primo passo in tale direzione, scrivendo alla Ministra Giannini una lettera molto circostanziata in cui auspica un intervento di 'manutenzione' della legge 240. Il CUN, insieme a molte altre modifiche importanti, richiede anche la restituzione alle università del diritto di ridefinire i propri organi di governo sulla base di modelli autonomi. Speriamo quindi che sia presto possibile restituire a tutte le componenti universitarie il giusto diritto-dovere di partecipare agli organi di governo.
Un'altra cosa che mi piacerebbe ridiscutere è la durata del mandato del rettore. Se deve restare di sei anni, dovremmo almeno introdurre una qualche forma referendaria di metà mandato, che garantisca una verifica del gradimento dell'operato sino a quel momento.
Domanda 4 (due minuti per rispondere) nell'incontro a tema organizzato dal Comitato Partecipativo del Personale Tecnico Amministrativo e Ausiliario di UniBS, 2 Maggio
Come già detto, l'obiettivo di efficienza interna è prioritario, perché tutti noi dobbiamo tornare a dedicarci con tranquillità e coralità alle tre missioni dell'Università. Per raggiungerlo dobbiamo correggere i molti errori tecnici che la gestione Pecorelli/Periti ha commesso quando, per sparigliare le mansioni e spersonalizzare i ruoli, ha promulgato procedure e regolamenti imponendoli dall'alto, formulandoli senza concertazione, senza neppure ascoltare il personale che quei ruoli li aveva ricoperti e quelle mansioni le aveva svolte per anni, e ignorando sistematicamente le persone, docenti compresi, che a quei regolamenti avrebbero dovuto ottemperare.
La politica della durezza e della scortesia va interrotta, e solo il rettore lo può fare, se vuole, con la sua presenza e il suo esempio quotidiano sul campo. Non è necessario rinunciare alla fermezza nel perseguire gli obiettivi di efficienza di gestione e amministrazione, per reintrodurre il garbo e la gentilezza, per instaurare un clima di rispetto reciproco, per recuperare morale, motivazione e attaccamento all'istituzione di tutto il personale. E' anche doveroso rivalutare i contributi individuali di coloro che nella gestione Preti/Bresciani avevano profuso generosamente i propri sforzi, per far evolvere la gestione quasi familiare del primo periodo, verso le più complesse esigenze dovute alle dimensioni raggiunte dall'Ateneo. E' anche fondamentale investire in corsi di formazione specifici per la varie mansioni che vengono
man mano affidate al personale.
Su questi temi e su quello ovviamente cruciale dell'incentivazione economica, vorrei che il rettore aprisse per prima cosa un tavolo di ascolto e discussione garbata, con le rappresentanze sindacali ma anche con i singoli che volessero esprimersi, compresi i docenti e i direttori di dipartimento che negli anni hanno maturato idee ed esperienze in proposito. E' ovvio che l'argomento della premialità e delle progressioni orizzontali è complesso e delicato. Conosciamo i difetti della distribuzione a pioggia o basata sull'anzianità di servizio o altri automatismi, ma è anche difficile stabilire criteri che senza creare ingiustizie siano legati alla valutazione delle prestazioni e del livello
di responsabilità della mansione.
Dichiarazione conclusiva a tema libero (in due minuti) nell'incontro a tema organizzato dal Comitato Partecipativo del Personale Tecnico Amministrativo e Ausiliario di UniBS, 2 Maggio
Immaginate che io sia un contadino e che sia venuto oggi da voi ad offrirmi di
coltivare il vostro uliveto e a spiegarvi con dovizia di particolari come farei
a farvi produrre un ottimo olio d'oliva extra vergine biologico. Mi affidereste
il vostro campo senza informarvi in giro per capire se vi conviene fidarvi di
me? Non cerchereste di sapere se sotto i miei ulivi ho sempre spruzzato il
diserbante? Non vorreste prima sapere se c'è corrispondenza fra come predico e
come razzolo?
Ebbene, qui a giugno abbiamo lo stesso problema. Le dichiarazioni di programma
sono importanti, perché ci fanno vedere come ciascuno di noi predica e da quali
princìpi è ispirato. Ma risolvono solo la metà del nostro compito di
elettori. L'altra metà è la più difficile: dobbiamo trovare il modo di capire
se il candidato che predica secondo i princìpi che più condividiamo, avrà poi
la forza, il coraggio e la capacità di razzolare bene, mantenendosi coerente
per i prossimi sei anni ai princìpi dichiarati. Capirlo è un compito
difficile, ma lo possiamo fare, leggendo fra le righe del programma e delle
dichiarazioni, informandoci in giro con i colleghi più anziani su come ha
gestito le cose in passato e alla fine affidandoci alla nostra intuizione
personale.
Sei anni sono lunghi, e i programmi e le alleanze cambiano, ma le persone no. Il
segreto dell'urna ci offre l'occasione di esprimere una preferenza libera,
approfittiamone! La prossima occasione sarà, se ci sarà, fra altri sei anni.
Ricordiamoci che non andiamo a votare un programma elettorale, non un area
disciplinare, non un accordo o una cordata o un'alleanza pre-elettorale. Andiamo
a scegliere una persona.
Il mio appello al prossimo rettore, per quanto riguarda la gestione interna, è
che nel perseguire l'efficienza che oggi manca, garantisca al tempo stesso il
recupero di princìpi fondamentali come la solidarietà, l'imparzialità, la
rettitudine, la programmazione, la lungimiranza, il rispetto reciproco e
dell'istituzione, il senso di appartenenza, l'umanità nei rapporti fra le
persone. Chiedo la garanzia che questi princìpi tornino davvero nella
quotidianità del nostro lavoro.
In bocca al lupo a tutti per le scelte che faremo.
Intervento a tema libero (in cinque minuti) nell'incontro di presentazione dei candidati e di confronto aperto con gli elettori, 16 Maggio, Aula Magna Medicina, organizzato dal Decano dell'Università di Brescia
Il tempo scorre inesorabile... ma venerdì mattina (nella sua lezione inaugurale
nell'ambito di UniBSdays) Stefano Paleari l'ha abilmente fermato per un attimo quando ci ha mostrato la diffusione degli orologi meccanici sui campanili d'Europa nel tardo medioevo e l'ha collegata con l'evoluzione socio-economica nei due secoli successivi. Anche noi oggi siamo qui per capire una legge di evoluzione: quella che regolerà nei prossimi anni le popolazioni di ricercatori, associati e ordinari in Università. Ma che relazione ha con la diffusione degli orologi sui campanili?
La risposta ce l'ha data, sempre venerdì, Roberto Vacca quando ci ha ricordato che moltissime dinamiche evolutive nella storia della società e delle tecnologie sono descritte con sorprendente precisione dalle stesse equazioni di Lotka-Volterra che regolano l'evoluzione in biologia, ecologia, logistica, ed economia, equazioni anche note come modello preda-predatore.
Ora, nel sistema universitario chi è la preda e chi il predatore? Immagino ve lo stiate domandando: caspita, ma io sono preda o predatore? Come singoli, ognuno di noi è stato spesso preda; ma se a giugno ha diritto di voto, almeno qualche volta è stato anche predatore. Ma l'attenzione del singolo per il proprio orticello è sana e naturale. Invece, nell'attuale regime di risorse scarse, mi preoccupano e mettono in forte disagio i gruppi di predatori, che si uniscono in branco per cooperare nella caccia. Questo è uno dei disagi diffusi che ho percepito nei corridoi dei dipartimenti e da cui è scaturita la mia candidatura. Ho voluto dar voce ai molti nell'Ateneo che questi disagi li vive quotidianamente, ma diversamente da me si trova in posizioni in cui non ha potuto e non può denunciarli apertamente. E non mi riferisco solo ai ricercatori e ai professori, ma anche alle condizioni di lavoro e i problemi di scarsa umanità, motivazione, e formazione nella gestione del personale tecnico-amministrativo, che determinano il cattivo clima di convivenza in tutti i dipartimenti.
Ma torniamo ai branchi di predatori. Al livello dei dipartimenti sono i settori scientifico disciplinari più forti che si alleano, spesso sottobanco, in cluster dominanti, e invece di governare mirando allo sviluppo armonico ed equilibrato del dipartimento, perdono di vista gli obiettivi più alti e le tre missioni che giustificano la loro stessa esistenza, e collaborano invece con abili tattiche a sfiancare la preda prima di finirla.
Questa è la mia lettura delle sfinenti riunioni indette ogni volta che arriva qualche goccia di risorsa, in cui siamo chiamati a scannarci su come dare giusto peso a merito scientifico, merito didattico, attività di servizio, turnazione, e sostegno ai settori in difficoltà. E mentre noi discutiamo e ci dividiamo, l'abile lavorio fuori riunione, promette qualche briciola ai più deboli, e magicamente riesce a farci approvare -- sempre rigorosamente all'unanimità -- l'ennesima nuova formula che di volta in volta, guarda caso, consente al branco di far man bassa. Simili dinamiche si vedono anche al tavolo dei direttori di dipartimento. Per non parlare dei gabinetti romani dove mentre novanta università boccheggianti si scannano per dividersi i 60 milioni destinati ai PRIN e i FIRB, il branco dell'IIT, che già da dieci anni si prende 100 milioni all'anno senza batter ciglio, da oggi ne prenderà altri 150 all'anno per lo Human Technopole, altra fondazione privata che banchetta con fondi pubblici per la ricerca, mentre noi siamo ridotti alla fame.
Ma torniamo a noi. Dobbiamo proteggere i nostri gruppi più deboli dell'estinzione. Per farlo, i dipartimenti devono dotarsi di progetti di sviluppo di medio-lungo termine che definiscano traguardi di punti organico per i vari settori, raggiungibili nei diversi scenari di crescita, stabilità, o contrazione che il futuro ci riserverà. Solo così i gruppi, grandi e piccoli, avranno le certezze necessarie per autogestirsi, lavorare in tranquillità, e dare prospettive chiare ai giovani che aspirano a lavorare in università.
Ma risolvere i problemi interni di incertezza e inefficienza non basta, perché il nostro futuro si gioca nei rapporti e nelle collaborazioni che sapremo sviluppare con tutti gli altri attori che con noi concorrono a formare il tessuto economico, civile, sociale e morale in cui viviamo. Con la scuola superiore, l'industria, l'ospedale, le professioni, le associazioni, la filantropia, la città, le ex province della Lombardia orientale, la regione, l'Arexpo, le altre università della grande regione alpina, ma anche i legislatori, la CRUI, il CUN, il Ministero, e soprattutto l'Europa e il suo sistema di finanziamento della ricerca.
Il nuovo rettore non potrà certo agire da solo su tutti questi fronti, ma dovrà -- al passo coi tempi e la realtà del momento -- organizzare a rete le molte eccellenze che abbiamo, per realizzare una governance dinamica a più poli che tuteli le legittime aspettative di tutti e valorizzi con lungimiranza le buone idee che un sano gioco di squadra sicuramente genererà.
Uniamo le forze con umiltà e umanità, recuperiamo il senso di appartenenza e di servizio, l'entusiasmo vincerà e saremo orgogliosi dei risultati che verranno.
Intervento in risposta a domande dalla sala (in cinque minuti) nell'incontro di presentazione dei candidati e di confronto aperto con gli elettori, 16 Maggio, Aula Magna Medicina, organizzato dal Decano dell'Università di Brescia
Il tempo è tiranno... e quindi rispondo solo su un paio temi che non ho toccato prima. [Nella ricostruzione dell'intervento qui riportata ho aggiunto un paio di punti che il tempo
limitato non mi ha concesso di chiarire bene]
Il primo tema è l'attrattività. Un fattore cruciale per attrarre studenti è la possibilità di trovare lavoro una volta laureati. Questa va di pari passo con il rigore e la qualità della preparazione dei laureati. La cosa che sicuramente non dobbiamo fare è abbassare l'asticella e rendere più facile laurearsi, sperando così di attrarre più studenti, italiani o stranieri. Sarebbe un errore enorme, produrrebbe laureati mediocri che faticano a trovare lavoro, rovinerebbe la reputazione dell'Ateneo e alla fine allontanerebbe gli studenti più capaci, esattamente l'opposto dell'effetto desiderato.
Oltre a tenere l'asticella opportunamente alta, dobbiamo revisionare i piani di studio per verificare che da un lato si mantengano radicati ai fondamenti delle discipline e dall'altro siano aggiornati rispetto agli sviluppi internazionali del settore e alle scelte strategiche delle facoltà di cui parlavo prima. Nel fare ciò mi piacerebbe che trovassimo spazi per incrementare forme alternative di didattica partecipativa e competitiva, in cui gli studenti si cimentino in progetti capaci di appassionarli e, perché no, anche divertirli stimolando creatività, leadership e lavoro di squadra, e che facciano da culla all'imprenditoria giovanile innovativa.
Dovremmo anche offrire formazione al personale docente, per sperimentare nuove tecniche al passo con i tempi, come ad esempio il cosiddetto 'insegnamento rovesciato', che capovolge la logica tradizionale per cui lo studente viene in università per la lezione frontale e poi rielabora con lo studio individuale a casa. Il problema di questa impostazione tradizionale è che -- come diceva Popper -- il docente con la classica lezione frontale fornisce risposte non sollecitate a domande non poste, nel migliore dei casi fornendo un'utile interpretazione personale di quanto scritto nel libro di testo. Oggi però, con internet, lo studente può vedersi il video della lezione da casa e poi andare a lezione per rielaborarla. Perché questo accada il docente deve imparare la tecnica per usare il tempo in classe per fare le giuste domande nella giusta sequenza per guidare gli studenti in un percorso di progressiva rielaborazione individuale che è al tempo stesso una riflessione e un confronto collettivo e partecipato, che comprende anche discussioni con gli studenti vicini. Il teorico di questo metodo è Eric Mazur.
Il secondo tema è il consiglio di amministrazione e lo statuto. Ho già detto in altre occasioni che l'Università Statale è e deve rimanere un bene pubblico, autonomo e indipendente, perché concorre attivamente allo sviluppo del tessuto civile, morale e sociale del territorio. Va quindi difesa dalle logiche di privatizzazione e lottizzazione politica ottusamente introdotte dalla legge Gelmini, che la nostra governance ha estremizzato fino all'assurda esclusione dal consiglio di amministrazione degli accademici e delle altre componenti universitarie. E va difesa anche da logiche aziendalistiche che riducono gli studenti a 'clienti' e i docenti ad 'erogatori di un servizio'. L'Università è molto di più e, se mai, è l'opposto di un'azienda. Se la società è un albero e le aziende sono le foglie, le università sono le punte delle radici. Lucidate pure le foglie, ma se il vaso è stretto la pianta non crescerà.
Lo statuto va rivisto per restituire a tutte le componenti universitarie il giusto diritto-dovere di partecipare agli organi di governo. Speriamo che la 'manutenzione' della legge 240 promessa dalla Ministra Giannini ci restituisca l'autonomia per farlo.
Il terzo tema sono le figure dei ricercatori a tempo determinato. Il recente documento del CUN che su richiesta della Giannini propone molti dettagli su come revisionare la 240, propone di equiparare la figura dei ricercatori a tempo determinato di tipo A ai "post-doc". E quelli di tipo B agli "assistant professors tenure track". E' sbagliato pensare che ci debba essere una garanzia di carriera. Si tratta di posizioni "tenure track", cioè non di ruolo. Non è sostenibile per nessuna università garantire o richiedere la conferma in ruolo di tutti i ricercatori di tipo B, altrimenti non resterebbero più punti organico disponibili per il reclutamento di nuovi giovani ricercatori di tipo B. Io sono orgoglioso di essere stato licenziato da un università quando ero appunto assistant professor tenure track, perché non ho raccolto fondi sufficienti per pagare almeno metà del mio stipendio. Lì allora funzionava così. Ma io conoscevo la regola già in partenza, e sapevo bene che a non seguirla avrei rischiato di non prendere la "tenure" e di dovermene andare dopo cinque anni. Le regole chiare mi hanno permesso di fare una scelta, dura ma consapevole. Ho scelto di godermi l'immersione totale di cinque anni di ricerca pura e insegnamento che la fortuna mi offriva in quella università da sogno dedicandomi a tempo pieno all'argomento che mi appassionava, e non ho "perso tempo" a cercare finanziamenti come i miei colleghi che oggi sono ancora là. Ho accettato di essere giudicato alla fine sui risultati. Così è stato: li hanno ritenuti insufficienti e mi hanno licenziato. Ma ne vado comunque orgoglioso, perché in quell'università ai tempi il rapporto di successo nel conseguire il ruolo era di uno su dieci.
Vorrei concludere con un'altra richiesta per il prossimo rettore. Vorrei che il primo atto fosse una lettera di dimissioni irrevocabili alla fine del quarto anno di mandato, nel caso di esito molto negativo di un referendum di verifica del gradimento sul suo operato nei primi tre anni, referendum da tenersi a febbraio del quarto anno.
Domanda 1 (cinque minuti per rispondere) nell'incontro sul tema "La nostra idea di Università" organizzato dal Partito Democratico il 14 Giugno
La “terza missione dell'Università” consiste nelle attività che la mettono in relazione con la società e l'industria. Dobbiamo stare attenti a non identificarla solo con il trasferimento tecnologico e le attività funzionali allo sviluppo economico del territorio, in una logica produttivistica o di tutela della salute pubblica. L'università deve anche contribuire attivamente alla formazione del tessuto civile, morale e sociale del territorio, deve al tempo stesso essere la culla della modernità e del fermento, ma anche scrigno e garante della nostra eredità culturale.
Voglio ricordare che il ruolo propulsivo dell'università in un'economia sana sta nella sua capacità di realizzare in primo luogo la ricerca di base, su tutti i fronti, scientifico, medico e umanistico. Questo perché è alla frontiera che si sviluppa nuova conoscenza e che si fertilizza il terreno per l'innovazione. Quasi sempre tale frontiera è troppo lontana dall'applicazione per poter esser perseguita e finanziata dalle industrie.
Purtroppo, la classe politica nazionale ed europea è spesso portata ad ignorare questo ruolo fondamentale che ha la ricerca di base, e tende così a definanziarla per concentrare le risorse sulla ricerca applicata, su temi dettati dalle lobby più forti, a volte persino suggerendo che si debbano privilegiare poche università di eccellenza o che i tagli debbano essere più drastici per le ricerche umanistiche. E' compito dei rettori contribuire a vigilare e lottare con forza per contrastare la cecità di tali politiche chiaramente demagogiche ma suicide non solo per il tessuto civile, morale e sociale del paese, ma anche per la stessa innovazione produttiva.
Ma torniamo al nostro territorio. Un'altra azione importantissima sarà quella di dare ossigeno e risalto al dottorato di ricerca, puntando sul ruolo chiave che i dottori di ricerca avranno nel futuro della nostra economia. La figura professionale del dottore di ricerca sarà la chiave dell'innovazione nel prossimo futuro. Per le aziende e per gli enti pubblici, assumere un dottore di ricerca significa acquisire un professionista con il bagaglio tecnico, l'esperienza, l'indipendenza intellettuale e la leadership necessarie per assumere ruoli di responsabilità, non solo nell'industria ma anche nello sviluppo sociale del territorio e perché no, anche per rendere efficiente la pubblica amministrazione.
Vorrei concludere approfittando del fatto che gli organizzatori di questo incontro sono del PD, e visto che in questa campagna elettorale per il rettorato ho assunto il ruolo del Savonarola... mi sento in dovere di lanciare un paio di invettive sulla politica della ricerca sposata acriticamente dal vostro segretario nazionale e suoi collaboratori, sulla scia dei loro predecessori di diversa estrazione. Intanto gli ricorderei che non si può etichettare come "un miliardo per la cultura" i soldi stanziati col recente piano nazionale della ricerca per il recupero edilizio di musei e altri cespiti dei beni culturali. La cultura è un altra cosa, è l'arte, la musica, il teatro, la poesia, la filosofia, ma anche la sociologia dell'educazione, il mettere in discussione i valori della società in cui viviamo, la difesa dei principi costituzionali, dell'amore, della giustizia, della speranza.
Ma ancora peggio è lo spacciare per "soldi dati alla ricerca di base" il miliardo e mezzo stanziato per lo Human Technopole, arbitrariamente assegnato al branco dell'IIT, che già da dieci anni si prende 100 milioni all'anno senza batter ciglio, e da oggi ne prenderà altri 150 all'anno. E badate bene che stiamo parlando di una quantità di soldi superiore a quella su cui ogni anno ottanta università boccheggianti sono chiamate a scannarsi per i cosiddetti PRIN e FIRB. Così facendo il signor Renzi ha umiliato il sistema universitario e lo sta riducendo alla fame, lo sta smontando e piano piano forse di sta preparando alla privatizzazione. In questa follia, io non riconosco la matrice culturale del PD.
Domanda 2 (cinque minuti per rispondere) nell'incontro sul tema "La nostra idea di Università" organizzato dal Partito Democratico il 14 Giugno
Gli studenti e le loro famiglie scelgono l'università anche in base alla possibilità di trovare lavoro facilmente una volta laureati. Questa va di pari passo con il rigore e la qualità della preparazione dei laureati e con il livello della ricerca. La cosa che sicuramente non dobbiamo fare è abbassare l'asticella e rendere più facile laurearsi, sperando così di attrarre più studenti, italiani o stranieri. Sarebbe un errore enorme, produrrebbe laureati mediocri che faticano a trovare lavoro, rovinerebbe la reputazione dell'Ateneo e alla fine allontanerebbe gli studenti più capaci, esattamente l'opposto dell'effetto desiderato.
Oltre a tenere l'asticella opportunamente alta, dobbiamo revisionare i piani di studio per verificare che da un lato si mantengano radicati ai fondamenti delle discipline e dall'altro siano aggiornati rispetto agli sviluppi internazionali del settore. Nel fare ciò mi piacerebbe che trovassimo spazi per incrementare forme alternative di didattica partecipativa e competitiva, in cui gli studenti si cimentino in progetti capaci di appassionarli e, perché no, anche divertirli stimolando creatività, leadership e lavoro di squadra.
Facciamo prendere coscienza alla città e alla provincia che l'università è un bene comune, una ricchezza fondamentale. Le famiglie possono essere coinvolte tramite i loro ragazzi e devono essere portate a convincersi che l'università non è solo l'istituzione che fa avere il pezzo di carta, il titolo di studio ai loro figli, ma li forma e li stimola, li rende indipendenti e intraprendenti, li indirizza e li mette in rete, stimola e sostiene lo spirito di imprenditorialità che c'è in loro. Anzi, le associazioni industriali dovrebbero sostenere più sistematicamente l'università nell'azione di formazione all'imprenditoria innovativa, diffusa e non tradizionale.
Per essere concreto, vorrei proporre al nuovo rettore e alla città di accogliere un'idea che credo nuova e divertente: un progetto che chiamerei "Tesi di laurea alle superiori". Una tesista propone un progetto che comporti un lavoro di squadra e che incontri il favore di un docente universitario, il relatore di tesi, e un docente delle superiori, magari di dove lei stessa si è diplomata. Poi il lavoro coinvolge una piccola squadra di studenti delle superiori, che collaborano con la tesista a realizzare il progetto. Così si ottiene un coinvolgimento attivo fra studenti delle superiori e loro famiglie, una sorta di fidelizzazione che porta i discorsi sull'università in casa in anticipo e non solo dopo gli esami di maturità. La tesista nel frattempo impara ad essere leader in un gruppetto di giovani.
Per concludere, vorrei esortare il nuovo rettore a trovare modi per rimettere gli studenti al centro dell'università. Dobbiamo stimolarli a partecipare alla vita culturale e politica. Non più in università solo per andare a lezione e poi via, studio a casa e altri interessi altrove. Dobbiamo creare spazi nei piani di studio per consentire agli studenti di coltivare qualche loro interesse all'interno dell'università, per discutere e per crescere intellettualmente.
Dobbiamo far tornare Pierino sui banchi di scuola e nelle aule dell'università. Mi manca molto Pierino. Forse i giovani non sanno più neanche chi era. A me manca molto perché ci terrebbe tutti attenti e vivaci, farebbe venir voglia anche a noi di dire liberamente la nostra, di fare la marachella per sottolineare con ironia un'ingiustizia. Magari Pierino farebbe capire anche a un professore vecchio come me, o al presidente del corso di studi, che da altre parti si sperimentano nuovi metodi per far didattica più partecipata, invece di quelle noiose lezioni frontali tradizionali in cui -- come diceva Popper -- non facciamo che elencare risposte non sollecitate a domande non poste. E' molto più efficace insegnare stimolando gli studenti a porre domande per poi discutere insieme le risposte. Pierino ci ricorderebbe che, sì certo occorre fare formazione al personale tecnico amministrativo, ma è utile formare anche il personale docente, perché è difficile imparare da chi non ha imparato ad insegnare. Mi domando cosa direbbe Pierino su un corso per diventare Rettore...
Vai alla home page di www.gianpaoloberetta.info